Bruno Corra ricorda, come riportato nel saggio “Musica cromatica” che pubblicò nel volume “Il pastore, il gregge e la zampogna“ del 1912, che, insieme con il fratello Ginna, già dai quattro anni precedenti incominciarono a pensare come l’arte pittorica e tutte le altre potessero confluire in una sola (1).

Corra scrive che cercavano “di scoprire una linea ideale che riallacciasse e comprendesse in sé tutto il lavorio tomentoso e farragginoso di pensiero (orgie di colori, ubriacature di forme, di linee e di suoni, intuizioni di simpatie di sonorità tra parole, ….”.

Pertanto, Corra continua che negli ultimi due anni (1910-1912), in cui ricordo che Ginna e Corra avevano rispettivamente 20 e 18 anni, “noi decidemmo di tentare seriamente (ndr di realizzare) la musica dei colori: si cominciò subito a pensare agli strumenti, che forse non esistevano e che avremmo dovuto far fabbricare appositamente, i quali ce ne permettessero l’attuazione. Si andava per vie intentate lasciandoci guidare in massima parte dall’intuizione ma procedendo però sempre di pari passo, per timore di far falsa strada, con lo studio della fisica della luce e del suono, nelle opere di Tyndall e di altri molti.”

E prosegue “Ci confermammo nell’idea, anteriore del resto ai nostri studi di fisica, di attenerci alla musica e di trasportare, precisamente nel campo del colore, la scala temporale musicale.” Studiando le reciproche caratteristiche della musica e della pittura giunsero alla conclusione che “… ci parve la chiara necessità di una suddivisione magari artificiosa ed arbitraria dello spettro solare e venimmo a scegliere in ogni colore quattro gradazioni a distanze uguali – si ebbero quattro rossi scelti a uguale distanze nello spettro, quattro verdi, quattro violetti… ecc; così eravamo arrivati a distendere i sette colori in quattro ottave…”.

Così costruirono una serie di 28 lampadine colorate corrispondenti ad altrettanti tasti di un pianoforte.

Realizzarono il pianoforte cromatico sia componendo qualche sonata di colore (notturni in viola e mattinate in verde) sia traducendo, con qualche modifica necessaria, una Barcarola veneziana di Mendelssohn, un Rondò di Chopin e una sonata di Mozart. I primi risultati furono “abbastanza buoni tanto che noi ci illudemmo, da principio, di aver definitivamente risolto il problema”. Ma non era così: nei tre mesi di sperimentazione si resero conto che “avevamo a nostra disposizione soltanto ventotto toni” e che “le sorgenti luminose non erano abbastanza forti” e che erano più potenti le lampade dovevano essere ridipinte spesso. In sintesi si resero conto che “sentivamo chiarissimamente che bisognava poter disporre di una intensità di luce sbalorditiva, solo così si sarebbe potuti uscire del campo ristretto dell’esperimento scientifico per entrare direttamente nella pratica”.
E così incominciarono a dedicarsi al cinematografo: ma questa è un’altra storia (2).

Prima di Ginna e Corra, altri fecero esperimenti simili da cui probabilmente trassero anche ispirazione come per loro ammissione Tyndall e altri molti (2-3).

Infatti, già tra il 1720 e il 1740 il gesuita francese Louis BertrandCastel, trasferitosi a Parigi nel 1720 come professore di fisica, meccanica e matematica al Collège Louis-le-Grand, realizzò il clavecin oculaire (clavicembalo oculare), strumento concepito per procurare piacere alle orecchie e agli occhi mediante l’unione simultanea di suoni e colori.

L’idea di Castel è simile a quella alla base del Prometeo di Alexandr Nikolaevič Skrjabin (1872-1915), composizione sinfonica con pianoforte, coro, organo e clavier à lumières scritta nel 1911.
Skrjabin inserì in partitura un apposito rigo per la parte Luce, ma non disse come realizzarla. Alexandr Mozer ideò quindi una macchina dotata «di un sistema di [12] lampadine poste circolarmente su un supporto di legno [che] si accendevano con dei pulsanti», ma ben presto fu chiaro che l’oggetto (ancora esposto nel Museo Skrjabin) era troppo rudimentale e così la prima esecuzione, a Mosca il 15 marzo del 1911, avvenne senza luci. (4).
Era tipica del periodo la riflessione su musica e colore e gli strumenti per produrla: oltre ai tentativi dei futuristi Ginna e Corra (1910), vedono per esempio la luce il Musikop (1912) di Nicolas Schöffer, il Sarabet (1919) di Mary Hallock-Greenewalt (e poi il Nourathar che emetteva colori attraverso l’uso della luce elettrica), l’Optofonium (1920) di Vladimir Baranov-Rossiné, il Clavilux di Thomas Wilfred (1922), il Sonchromatoscope di Alexander Laszlo (1925).
Il primo tentativo, inadeguato secondo la critica, di realizzare la parte luminosa del Prometeo risale al 1915 (Carnegie Hall), ma solo nel 1962 a Kazań, in Russia, si poté vedere e ascoltare rappresentato secondo l’intenzione di Skrjabin: su uno schermo venivano proiettati i colori corrispondenti alle tonalità, indicati in partitura seguendo lo sviluppo del movimento musicale. La prima italiana con effetti luminosi al Maggio musicale fiorentino risale al 1964 (4).

Negli ultimi vent’anni il computer ha modificato radicalmente l’approccio all’opera: una delle più spettacolari realizzazioni ha avuto luogo per la realizzazione del “Prometeo o il poema del fuoco”, alla Tonhalle di Düsserldorf l’8 febbraio 2008 – immagine in copertina (4-5).

Dalle indicazioni ricavate dai vari studi, appare che l’esperimento di Skrjabin-Mozer del 1911 fosse realizzato con 12 lampade, mentre il pianoforte cromatico di Ginna e Corra faceva riferimento ad una suddivisione in “28 lampade elettriche colorate corrispondenti a 28 tasti”: appare quindi un miglioramento nella definizione dei toni cromatici e quindi nell’articolazione musico-cromatica.

Fonte:
(1) Bianco e Nero, Rassegna mensile di studi cinematografici e televisivi – anno XXVIII – numeri 10-11-12 – ottobre-novembre-dicembre 1967, numero speciale su cinema e futurismo. Ginna e Corra – Cinema e letteratura del futurismo, a cura di M. Verdone, pag. 26
(2) Bianco e Nero, Rassegna mensile di studi cinematografici e televisivi – anno XXVIII – numeri 10-11-12 – ottobre-novembre-dicembre 1967, numero speciale su cinema e futurismo. Ginna e Corra – Cinema e letteratura del futurismo, a cura di M. Verdone, II Cinema Astratto – Musica Cromatica (1912) di Bruno Corra, pagg. 246-247
(3) Una sinfonia polespressiva: cinema, futurismo e percezione sinestetica, di Rossella Catanese, in Sound for Silent, Officina Editoriale Idea, 2019, pag. 134
(4) Dal clavecin oculaire di Louis Bertrand Castel al clavier à lumières di Alexandr Skrjabin, di Benedetta Saglietti, Accademia University Press, pagg- 187-205
(5) Alexander Skrjabin, Promethée – Tonhalle Düsseldorf – Visibile su internet all’indirizzo: https://youtu.be/9CruEBhdxJE?si=f-ljqsEQ7qqg-71V