Nell’ottobre del 1909 fu stampato l’ultimo numero di «Poesia», rassegna internazionale diretta da F. T. Marinetti.

A distanza di undici anni, nell’aprile 1920, Mario Dessy, a soli 17 anni, rilanciò la rivista che uscì, con periodicità mensile nell’aprile del 1920. Questa nuova serie fu più compatta e coerente della prima. Essa funzionò come cassa di risonanza delle iniziative di Martinetti per ridare vigore al movimento futurista nel clima tormentato del dopoguerra, per cercare nuove alleanze, per ridisegnare obiettivi e traguardi nel nuovo contesto culturale (1).

Mario Dessy, quindi, nel 1920-1921 è direttore della neonata serie di “Poesia”, e finanzia con propri mezzi la nuova rivista “aperta a tutte le correnti nuove della poesia mondiale”: vi compaiono in effetti figure di spicco della poesia italiana ed europea, da Pound a Joyce, da Yeats e de Régnier, da Paul Fort a Cocteau a Borges (2).

Le copertine di tutti i numeri furono realizzate da Ginna; qui mi riferisco però al n. 4 del luglio 1920. In questo numero si parla dei due fratelli Ginna e Corra e delle loro opere che stanno nascendo.

Infatti, proprio all’inizio si può leggere una bellissima descrizione, di ben 9 pagine, di Bruno Corra realizzata da Mario Dessy (pagg. 2-10).

“Nella sua Ravenna piccola e pettegola, quand’egli era ancora semplicemente il conte Corradini Ginanni, il signorino pallido e fine, terribilmente influenzato dall’ambiente ristretto e moribondo di provincialismo in cui era costretto a vivere, cominciò ad avvicinarsi alla poesia. Fu un avvicinamento intimo, gelosamente tenuto nascosto a tutti, dai quale, nella fervida fantasia dei suoi quindici anni, erano nati ben presto i più vasti sogni di grandezza e di celebrità…….” (3).

A pag. 26 del numero di luglio, è presente invece una descrizione molto interessante che descrive tre opere di Arnaldo Ginna (pag. 25): La madre pazza, L’assassino e L’impostore.

“La sua pittura, complessa e vasta, ha quasi esclusivamente un carattere letterario — molte volte anche musicale.
In questi tre quadri che riproduciamo, il colore e la forma contengono uno studio analitico di tre degenerazioni umane. Ed ecco fini della psicologia, come essenza; della letteratura, come espressione. L’arte di questo originale e profondo artista è tutta una ricerca esasperata di caratteri psicologici, è tutta uno studio complesso delle varie forme psicologiche umane, studio influenzato forse da quelli del Lombroso e di altri psicologi americani, è tutta una deformazione grottesca della vita che appare a lui attraverso l’orrore che nei suoi quadri la forma, il colore e la tecnica, hanno un’importanza relativa di fronte al contenuto cerebrale. La sua arte è rivestita di pensiero.
Egli, nelle sue tele, non si serve del colore o di altri espedienti pittorici per darci delle forti sensazioni, ma quasi unicamente del contesto lirico di esse.
Quasi sempre la forma, nei suoi lavori, lascia il posto all’anima, cosicché molte volte i suoi quadri, pur non ubbriacando di colore, sanno impressionare fortemente per quell’atmosfera di lirismo e di vita che li circonda.
L’arte di Arnaldo Ginna sta tra la poesia de la pittura. La tecnica, in lui, è al servizio delle sue impressioni, e cambia totalmente volta per volta, assecondando i mutamenti delle impressioni. Nei numerosi quadri del verto nella sua Romagna, ch’egli esporrà fra non molto in esposizioni personali all’estero verso la naturalezza, verso il misticismo della gente rozza e semplice della sua terra e, di conseguenza, la sua tecnica varia e tende alla costruzione di lavori d’assieme, di tele grandiose
(3).

Fonte:
(1) Poesia (1920): 9788872422403 – AbeBooks
(2) Archivio del ‘900 – CIM (mart.tn.it)
(3) Poesia July 1920 — Princeton Blue Mountain collection

La madre pazza
L’assassino
L’impostore